Fare innovazione. Dalla massa allo sciame

 
C’era una volta e c’è ancora, la massa: governata da un capo, come Elias Canetti ci ha insegnato. La massa va manipolata, indirizzata, usata verso un fine: c’erano la muta di caccia ed i mercati di massa, gli uomini ripetitori e la fabbrica rituale, c’era la produzione di massa a bassa intensità, di pensiero e di prestazione. C’erano la muta del lamento e gli eroi della politica, del cinema e della tv.
C’erano i target ed il marketing, le armi di comunicazione ed i consumatori ossessivi e quelli compulsivi, ognuno da condizionare, forzare, dis-orientare attraverso l’arma della promessa, della desiderio, dell’effimero, della inutile conoscenza.

 
E poi c’erano e ci sono, ma forse non ci siamo accorti, gli sciami nei quali un’azione complessa derivava da un’intelligenza collettiva, come accade in natura per le colonie di insetti e gli stormi di uccelli. Lo sciame è dotato di intelligenza propria, connettiva. È il risultato della somma delle azioni, dei programmi e dei progetti dei singoli attori: evitano di urtarsi l’un l’altro e cercano di mantenere una velocità costante.
 
Gli sciami hanno comportamenti che trascendono l’unità individuale, hanno un pensiero proprio, additivo, che lascia emergere pattern di sistema, funzionali all’insieme e globali nei loro effetti. L’ente ordinativo è assente o limitato, lo sciame si auto-organizza, si coordina, è flessibile ed adattabile. Lo sciame si muove attorno ad un fine-catalizzatore, ad un polo di attrazione che può essere cibo, fiore oppure albero, meglio ancora, cultura, attitudine, idea della vita. Il volo è, con senno del poi, mappato, preciso, coordinato e armonioso, sebbene non esista un leader che indichi una direzione, solo buoni motivi ed una profonda aspirazione alle soluzioni, alla conoscenza ed al rinnovamento.
 
Una colonia di formiche è in grado di risolvere problemi in modo strabiliante, costruire un rifugio organizzato, tracciare il tragitto più efficace verso il cibo, difendere il territorio. Ma ogni formicaio è un nuovo formicaio, non ripete schemi, genera nuove tattiche e nuove soluzioni a partire da ciò che già era noto. Il fenomeno è ben chiaro su Internet, nelle community virtuali e nei social network: la rete quando è efficace, ci riesce grazie al buon vecchio passaparola ma solo se produce nuovi contenuti.
 
Lo stesso schema, lascia intuire il mutamento in corso, può applicare la persona al lavoro. Cosa mi piace? Cosa vorrei fare oggi? Chi mi arricchisce? Cosa mi fa sentire al posto giusto? Chi mi fa essere ciò che sento?. Sono domande assurde, impossibili, se pensate all’interno di strutture funzionali alla produzione ed al commercio di prodotti e servizi di massa. Diventano invece domande chiave nelle antiche/nuove imprese basate sulle persone e sulla conoscenza. Anzi nelle imprese basate sull’innovazione (che hanno nella conoscenza un imprescindibile presupposto).
 
L’innovazione è una necessità, ma non funziona più se a gestirla sono poche persone o poche divisioni: l’innovazione accade quando diventa motivazione e tensione creativa che coinvolge tutte le persone, tutti gli attori.
 
Se come ha scritto, a proposito della Quarta Rivoluzione, Edoardo Segantini sul Corriere tempo fa, “l’idea stessa di innovazione sta cambiando. Non è una forza, ma un campo di forze. Non è una singola invenzione, ancorché frutto di genio, ma una piattaforma su cui molti elementi trovano posto e si combinano secondo la chimica di una nuova formula”, la conoscenza diventa substrato, fine legatura di discipline multiple e lontane che solo insieme, possono far emergere i contorni delineati di un pensiero innovativo.
 
Lo studioso americano Scott D. Anthony sostiene che “siamo entrati nella quarta era dell’innovazione. Dopo la prima (gli inventori solitari), la seconda (i grandi laboratori aziendali) e la terza (le venture capital e le start-up), la quarta ruota intorno alla figura di un imprenditore-catalizzatore, cui è affidata la missione di estrarre l’enorme potenziale innovativo che nelle organizzazioni rimane inespresso”.
 
Il primo atto di catalizzazione quindi diventa quello di allevare, con lo spirito di un amorevole ortolano-apicoltore, lo sciame, creando le condizioni affinché la straordinaria intelligenza collettiva crei le conoscenze complesse (cum-plexus, cioè con-intrecciate, tessute insieme) utili a prosperare ed impollinare, per diffondersi e crescere, difendendo al tempo stesso il territorio ed ogni singola individualità.
 
L’innovazione si nutre di conoscenza che, a sua volta, deve essere generata, non conservata e rinchiusa, continuamente curata ed incrociata, secondo una concezione generativa appunto, che valorizza l’esperienza culturale ed agisce sul bilancio cognitivo di chi vi partecipa. Il valore è nel tutto, nella totalità del progetto. La comunità delle persone, la possibilità delle strutture, sono le risorse specifiche che si possono mobilitare sul fronte delle innovazioni possibili, facendo in questo modo, da radice all’espansione del benessere.
 
Trovare lavoro e trovare le persone per svolgerlo” è il mantra ripetuto da Enrico Loccioni, un lavoro sempre variabile e sempre nuovo. Emerge la natura combinatoria e non più lineare del processo. Sul piano dei modelli aziendali servono snodi di integrazione a geografia variabile, che intrecciano conoscenze, discipline, visioni; sviluppano, innovando, prodotti e risultati e poi si sciolgono per riconnettersi su nuovi lavori, in un’altra combinazione.
 
Come il volo di uno sciame, appunto.

Giorgio di Tullio

 
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